lunedì 8 marzo 2010

Borsa mia quanto mi costi


Un articolo di questo mese apparso in “Le monde Diplomatique” fa riflettere sull'effettivo ruolo della borsa nell'economia mondiale confrontato con il peso che in realtà le viene assegnato. In tempi di crisi si sente molto discutere della borsa e della sua importanza anche come indice di benessere dell'economia. Ma quale economia: reale o fittizia? Il titolo molto provocativo “E se si chiudesse la borsa?” mette subito in luce il punto di vista dell'articolo.

La borsa nasce dall'idea che mentre alcuni (i risparmiatori) hanno del contante in eccesso e desiderano farne qualcosa che lo faccia aumentare, ovvero investirlo in qualcosa di produttivo, vi sono altri, le imprese, che invece necessitano di contante per lanciare una certa attività, con la speranza che questa frutti più di quanto faccia spendere. A differenza dell'indebitamento bancario (il mutuo ad esempio), il capitale versato dall'azionista (il risparmiatore) è permanente e quindi il costo del finanziamento è molto più basso. In poche parole l'azionista è d'accordo con l'impresa a dargli del denaro (quasi) gratis con la promessa che i suoi guadagni (perdite) saranno proporzionali ai guadagni (perdite) dell'azienda.
Secondo l'articolo tutto questo in realtà non accade:

La borsa non finanzia le imprese. Infatti sono più i soldi che le imprese danno alla borsa che viceversa. Queste infatti sono costrette a comprarsi le proprie stesse azioni al fine di aumentarne il valore. Le imprese inoltre, per restare nel circuito borsistico, sono indotte non a migliorare la qualità, ma solo ad aumentare i profitti. Questo si rivela devastante in particolare per le imprese che offrono servizi pubblici, come ad esempio le ferrovie. (Recente lo scandalo che ha colpito la Deutsche Bahn a Berlino per risparmiare sulla manutenzione delle metropolitane al fine di aumentare il capitale aziendale in vista dell'entrata in borsa)

Nonostante tutto ciò i capitali borsistici aumentano sempre di più nonostante le imprese (ovvero coloro che dovrebbero farne uso) non aumentino ma anzi. Il risultato è che il mercato si chiude su sé stesso, non vengono finanziati progetti industriali nuovi ma solo l'inflazione di certe azioni già in circolo. Il finanziamento dell'economia reale (quella produttiva, quella che dà lavoro) risulta così sempre più estraneo alla borsa. Lo dimostra anche il fatto che la schiacciante maggioranza della produzione, fatta dalle piccole e medie imprese fa completamente meno della borsa.

L'articolo conclude così sottolineando come chiudere la borsa quindi non solo eliminerebbe un ente inutile e dannoso ai fini del capitalismo reale e quindi del lavoro e della ricchezza delle nazioni, ma eliminerebbe anche lo spettro della “ricchezza flash” ricordando che il denaro si guadagna solo nella misura delle possibilità della remunerazione del lavoro. Un bisogno dunque di riflettere sul vecchio detto “la fossa viene dal campo” che caratterizzava una civiltà, quella contadina appunto, che altro non conosceva se non l'economia reale.

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