domenica 31 gennaio 2010

Post.it: Mario Mariotti


Mario Mariotti è stato un grande artista fiorentino attivo tra gli anni '60 e gli anni '80 del '900. La sua opera giocosa e innovativa si è concentrata anche su i bambini, dando vita al progetto Animani. Oggi quella realtà è stata riproposta al Museo dell'Ospedale degli Innocenti in p.zza Santissima Annunziata a Firenze, con una mostra proprio dal titolo Animani, aperta fino all'11 aprile 2010.
Per chi vuole c'è il sito ufficiale dell'artista, molto ben fatto, dove si può godere delle sue opere e delle sue esperienze.
L'arte a volte, è solo un gioco.

venerdì 29 gennaio 2010

Il riciclaggio come terza via


Oggi tratterò di un tema già affrontato all'interno del blog un po' di tempo fa, ma che credo sia importante approfondire, in quanto nodo centrale della consapevolezza ecologica che si è affermata nell'ultimo decennio: il tema del riciclaggio.

Il riciclaggio è una delle grandi scommesse mondiali del nostro tempo, il nuovo sistema di produzione che renderà le nostre vite sempre più ecosostenibili, e che ci lascerà sempre di più libera la coscienza quando compreremo, o meglio, quando gettermo un oggetto, un vestito o un qualsiasi artefatto umano. Scusate la vena leggermente ironica di questa mia ultima affermazione, non intendo nascondere infatti le mie perplessità su come si possa vedere nell'odierno riciclo una soluzione sostenibile.
Personalmente vedo il riciclaggio in una situazione simile a quella del commercio Equo&Solidale, entrambi vengono percepiti e vissuti come se fossero il futuro, come il modo giusto in cui dovrebbero andare le cose, ma, a pensarci bene, questo ragionamento possiede numerose falle, in quanto le soluzioni non sono trasformare i rifiuti in qualcos'altro, oppure far si che in Perù i lavoratori ricevano dal nostro acquisto il giusto ricavo, le soluzioni sono che bisogna consumare meno affinchè si vengano a creare meno rifiuti, e far si che i lavoratori del Perù possano guadagnare equamente dalla vendita dei loro prodotti non solo nelle botteghe dell'Equo&Solidale, ma ovunque, soprattutto nel loro paese d'origine! Spero che il ribaltamente della situazione sia chiaro, d'altronde (per fortuna) non sono il primo, ne sarò l'ultimo, a dire tutto questo. Tutti quanti però ci "scordiamo" o meglio, ci fanno scordare, questo punto di vista, me compreso. Nel gettare della plastica nella campana blu tutti noi proviamo un senso di auto soddisfazione, come quando aiuti una signora anziana ad attraversare la strada. Spesso ci sentiamo appagati dall'aver appena effettuato una giusta e sostenibile azione.
Se tutto questo è bene che continui con la carta e con l'organico, con i materiali plastici la situazione cambia radicalmente. Un impianto di riciclaggio plastiche impiega circa 17 passaggi affinché vengano suddivise le lattine, la pastica "A" da quella "B e da quelle "J", i tappi, le etichette, i pezzi troppo piccoli da quelli grossi, il tetrapack e chi più ne ha più ne metta. Una gigantesca catena di montaggio in cui si uniscono complessi (e costosi) macchinari all'occhio supervisore dell'uomo. Un dispendio di energia e di lavoro notevole, per quello che nell'immaginario di molti (mio compreso) era visto como un semplice buttare il tutto in un grande calderone.

E non è finita, infatti il grosso del problema alla fine non è come produrre la plastica ricilcata, ma è il come utilizzarla.
Essa si presenta come un impasto grigiastro lavorabile perlopiù attraverso estrusione e taglio laser, di buona resistenza meccanica, solo però sopra certi spessori (2 cm), con un' ottima resistenza agli agenti atmosferici ma una pessima qualità estetica (è brutta). Tutto questo, unito al costo elevato, fa si che ci siano enormi plasticosi imballaggi nei magazzini dei centri di riciclaggio, li, pronti, che aspettano solo di essere utilizati, ma che in realtà per ora non hanno futuro. Questa plastica costa troppo, se ne vende troppa poca, non ha ancora trovato un suo posto sul mercato e non risponde alle nostre esigenze estetiche, nonostante i lunghi studi su come renderla colorata.

Ci sono ulteriori processi che possono renderla decisamente più utile e versatile, ma ricordiamoci che ogni processo in più richiama prezzo maggiore alla vendita, oltre che minore sostenibilità.
Cosa fare? GLi imprenditori (dove sono, cosa fanno?) proprio non ci vogliono investire, progettisti, ingengneri, architetti tentano invano di applicargli un'estiticità facendola assomigliare alla palstica normale, al legno, al cemento o chissà cos'altro con risultati certe volte imbarazzanti, ma d'altronde non siamo ancora pronti ad accettare "il bello del riciclato".

Al di là dei toni sarcastici e polemici, questo è davvero un bel problema, che da però ancora più valenza alla tesi che, come recita la pagina di wikipedia al riguardo, il riciclaggio deve essere la terza scelta: la priorità va alla riduzione e al riuso.

Mi interesserebbe un vostro parere al riguardo, con la promessa però di un post a breve decisamente più propositivo e meno distruttivo.

Mirko

mercoledì 27 gennaio 2010

Zone al buio

Poco più di dieci anni fa, a Milano, entrava per la prima volta in Italia la tecnologia ADSL, destinata a mandare in pensione i vecchi modem che consentivano una velocità massima di 56 kb/s. L'ADSL infatti ha permesso di aumentare di due ordini di grandezza (dalle decine alle migliaia) la velocità in connessione.
Negli ultimi anni si è avuto un boom dell'utilizzo di internet, tutte le potenzialità della “rete” sono venute fuori. Quali potenzialità? Solo per fare alcuni esempi: la sua capacità di semplificare la burocrazia, la facilità con cui si può imparare, il risparmio nel gestire affari per via telematica, l'accesso ad un più ampio spettro di canali di informazione.
Tuttavia, in Italia non si è avuto un vero e proprio investimento nelle infrastrutture telematiche.
Apparentemente, questo non sembra così grave, e invece, specie sul lungo periodo, è determinante: investire nelle infrastrutture per modernizzare la rete Internet ed estenderla a tutti i cittadini significa creare le condizioni per uno sviluppo economico quanto mai necessario soprattutto nella fase di incertezza che ha colpito tutti i mercati mondiali e tutti i settori di produzione. Secondo un recente studio, se Internet sarà estesa e potenziata, si potrebbe creare entro il 2015 circa un milione di posti di lavoro e generare una crescita delle attività economiche stimata sugli 850 miliardi di euro.
Ancora oggi, sono moltissimi i piccoli centri, frazioni di comuni o altre aree rurali, che non hanno la copertura, ossia sono fuori dal raggio d'azione di una centrale. Queste zone per non restare tagliate fuori devono ricorrere a dei privati, se ce ne sono, che forniscono la banda larga attraverso altre tecnologie, come il wireless.
Il più importante freno alla copertura totale è economico: ogni centrale dovrebbe soddisfare un numero minimo di utenze, perciò vengono prima coperti i comuni con una densità di popolazione maggiore, rispetto a quelli con densità minore, e questo spinge la Telecom lasciare “al buio” interi paesi.
Purtroppo questa ingiustizia è del tutto legale, infatti il Decreto del Presidente della Repubblica 318/97 sancisce che tutti i cittadini italiani devono avere a disposizione
«la trasmissione di dati nella banda vocale attraverso modem ad una velocità minima di 2.400 bit/s, in base alle raccomandazioni dell'UIT-T della serie V»

Avete letto bene: 318/97 (risale al 1997 ). Ovviamente la velocità minima per legge è del tutto inadeguata ai moderni contenuti di internet. In realtà la legge è stata scritta con la predisposizione a un aggiornamento tecnologico a intervalli regolari di due anni. Contrariamente a questo presupposto invece la legge non è stata più aggiornata, con effetti sotto gli occhi di tutti coloro che non sono coperti.
Un anno fa, l'Unione Europea si mosse: preparò finanziamenti per un miliardo di euro destinati interamente per l’estensione e il rinnovamento delle reti broadband, con l’obiettivo di portare la banda larga anche a quelle aree rurali e meno popolose ancora escluse dall'internet veloce.
La Commissione Europea voleva garantire una copertura del 100% entro il 2010 per l’intera popolazione della UE e definì l’obiettivo come un imperativo economico e sociale.
A sentirlo ora vien da ridere.
Attualmente il governo non ha intenzione di potenziare la rete Telecom, ma di promuovere il coinvolgimento di operatori privati, incoraggiandoli con un finanziamento pubblico.
Si tratta di una soluzione sicuramente più economica sul breve termine. Speriamo che sia sufficiente all'Italia per colmare il suo gap tecnologico.
Quello che maggiormente mi preoccupa è che, a parer mio, il governo non si è ancora reso conto che questa deficienza strutturale diventerà determinante nel giro di pochi anni, e che continui a vedere internet come un simpatico giochino elettronico, non come un'opportunità.

martedì 26 gennaio 2010

Questo maledetto debito pubblico (II)


Nel precedente post “Questo maledetto debito pubblico” si è cercato di capire che cosa sia il debito pubblico e quali siano le disastrose conseguenze quando questo è alto. Adesso cerchiamo di capire le cause che hanno portato l'italia ad essere il paese con il terzo debito pubblico del mondo.
Per capire bene come stanno le cose si deve andare parecchio indietro nel tempo.
Nel 1950 il nostro era un Paese molto più povero rispetto alla Francia e alla Germania. Un operaio italiano guadagnava un sesto rispetto ad un operaio tedesco e la metà di uno francese, due italiani su cento possedevano una macchina, mentre in Germania quattro tedeschi su cento.
Tuttavia ,dopo la seconda guerra mondiale l’economia globale coninciò a crescere rapidamente, trainata dalla locomotiva americana,e il basso costo del petrolio (tra i 2 e i 3 dollari al barile) permetteva un basso costo dell’energia. Quest'ultimo, sommato alla particolarità italiana dei bassi salari, ci dava un vantaggio competitivo, gli italiani erano i “cinesi d’Europa”. In questo modo il PIL cominciò a crescere più velocemente che negli altri paesi.

Nel 1973 il 30 per cento degli italiani possedevano una macchina, quasi quanto in Francia e Germania. Non avevano i loro redditi, ma si erano avvicinati a questi ad una velocita’ impensabile.
Tuttavia i nodi vengono al pettine prima o poi e infatti il sogno del tutto a poco presto finì.
Il ricco contesto europeo nel quale si trovava l’Italia non permise di prolungare oltre il vantaggio dei bassi salari. Cominciarono alla fine degli anni ‘60 e agli inizi degli anni ‘70 le rivendicazioni salariali e gli scioperi. In questo modo tra il 1968 e il 1973 il livello dei salari degli operai raddoppio’.Inoltre inprovvisamente aumentò il costo dell'energia in seguito alle guerre in Medio oriente (1973).
Svaniti così i suoi principali vantaggi, con i salari raddopiati e il prezzo del petrolio quadruplicato, l’Italia a questo punto si trovò di fronte ad un bivio:o puntare alla soluzione dei suoi problemi cercando una nuova strada per la crescita (ad esempio uscire dalla mentalità manifatturiera e metalmeccanica e intraprendere la via dell'innovazione) o semplicemente non affrontare il problema. Ovviamente l'Italia scelse la seconda, piu’ facile nel breve periodo, ma disastrosa sul medio-lungo periodo.
Se le imprese non potevani più affrontare costi di energia e lavoro così alti, arrivava l’intervento pubblico a salvare chi strillava di piu’, o chi portava piu’ voti.
Nella politica dell’aiuto statale nel 1975 la scala mobile ( grazie alla quale i lavoratori vedevano i loro salari crescere in base all’inflazione dell’anno precedente) venne estesa a tutti i lavoratori. In questo modo si faceva tuttavia aumentare l’inflazione di quell’anno e così via in una spirale che portò l’inflazione alle due cifre.

Si svalutò allora la lira per avere vantaggio competitivo nel mercato estero. Svalutando la lira l'Italia poteva riconquistare competitività sui costi in confronto agli altri paesi (un pò come adesso costa molto meno comprare un computer in America piuttosto che in Italia a causa della svalutazione del dollaro). Si tratta di un trucco che dura poco, basta infatti che lo utilizzino anche altri Paesi concorrenti ed ecco svanire il vantaggio. Così con l’inflazione da una parte e la svalutazione dall’altra l’Italia riuscì per qualche anno a continuare la sua crescita truccata accontentando tutti, imprese e lavoratori.

Negli anni '90 però , da un lato lo scandalo di Mani pulite, dall’altro un debito pubblico al 120 % del PIL, con la perdita continua di competitività e con un PIL che cresceva sempre meno l’Italia era ormai vicina alla crisi finanziaria. Alto debito pubblico, spesa incontrollabile, margini ridotti per gli aumenti della tassazione. .. la storia è arrivata fino ad oggi e, anche se qualcosa è stato fatto e il debito attualmente è "solo"del 103%, il problema di fondo rimane: l'Italia resta un carrozzone sempre più appesantito dai suoi debiti.

La politica di ieri dunque non è stata coraggiosa, la politica di oggi pure non sembra un cuor di leone, ma che dire allora degli italiani? Del resto si sà che le decisioni più sofferte sono anche quelle più impopolari, ma il "popolo" può anche agire di testa tralasciando qualche volta la pancia.

lunedì 25 gennaio 2010

Cibo dal cielo haitiano


Oggi vorrei parlare di come a volte gli interventi umanitari siano inconcludenti o meglio, non riescano a raggiungere gli obiettivi che si prefiggono. Motivo?
Guardando i telegiornali alla tv, sono rimasto su un'immagine che mi ha lasciato un po' perplesso. Sto parlando della tragedia di Haiti, che ognuno di noi fa fatica ad immaginarsi. Crediamo di capire la gravità della situazione, visti anche i recenti distastri naturali che hanno colpito il nostro Paese, ma bisogna immedesimarsi e informarsi su quale sia la reale situazione di Haiti in questo momento e sopratutto in precedenza.
Haiti è una nazione dell'America situata nel Mar dei Caraibi. Un tempo colonia francese, è stata - dopo gli Stati Uniti - una delle prime nazioni delle Americhe a dichiarare la propria indipendenza. Il territorio haitiano copre la parte occidentale dell'isola di Hispaniola e confina a est con la Repubblica Dominicana. Haiti è il paese più povero delle Americhe.
Il terremoto appena avvenuto è notizia di tutti i giorni, gli aiuti mondiali che stanno arrivando pure, quindi non occorre approfondire. Tuttavia ci sono stati pochi servizi sulla mentalità, cultura e abitudini degli abitanti locali, legata alle modalità di aiuto che l'ONU ha organizzato.
Mi è capitato di vedere elicotteri americane lanciare cibo dall'alto senza atterrare, e tanti "esseri umani" correre come pazzi per arrivare prima degli altri sui "pacchi" postali arrivati dal cielo.
Ora, ogni mezzo e modalità di aiuto è ben gradita, però a volte occorrerebbe a mio avviso tener di conto della dignità umana e della sua natura.
Un paese in cui si vive ormai per strada, con migliaia di morti che giacciono vicini, senza più parenti e amici, senza acqua e cibo, secondo voi ha bisogno che arrivino cibi precotti dalle nuvole?
Ci rendiamo conto cosa può scaturire specialmente in un popolo quasi analfabeta?! Liti, linciaggi, guerriglie...il più forte soppravvive, il più debole soccombe. Si è forse animali?!E' brutto dirlo ma la natura umana è questa.
E non è solo il cibo a mancare ma anche delle regole civili, che pure in precedenza non erano garantite. Amnesty International denuncia:

"I bambini haitiani corrono il rischio di essere sequestrati a scopo di traffico di persone, di essere vittime di abusi, di essere ridotti in schiavitù e di subire la dilagante violenza sessuale. Devono essere prese speciali misure immediate per queste persone a rischio".
La violenza sulle donne era a livelli massimi fin da prima del sisma, e ora?!

I paesi Occidentali devono desistere dal pericolo di reagire col pietismo di chi non è stato toccato, ma coordinarsi, fare scelte difficili, a volte dolorose, che aiutino chi ha bisogno a sopravvivere mantenendo lo stato di essere umano.
Il capo della protezione civile Bertolaso afferma: "la gestione degli aiuti è patetica, poichè manca un coordinamento. Troppi show per la tv...".
Chiaramente il governo italiano ha subito preso le distanze da questa critica contro gli "alleati" rimanendo ben seduti sulle proprie poltrone.
Nessuno che non sia presente sull'isola saprà mai quale sia la reale situazione. Una cosa però è certa e dimostrata dalle immagini che ci arrivano e da chi è là di persona: attenzione a credere di risolvere tutto in maniera superficiale perchè la prima cosa che viene in mente da fare per alfabetizzare un popolo è regalargli centinaia di libri.....ma se non si sa leggere, cosa se ne fanno di tutti quei regali?! Magari sarebbe meglio una semplice maestra?! Ma ciò non farebbe notizia...
Nessuno di noi può sapere come si risolve la situazione, ma è anche nostro dovere denunciare una politica grossolana: immaginate se in Abruzzo, Berlusconi avesse lanciato lasagne dagli elicotteri?! Come avremmo reagito? Oppure come avrebbero reagito le famiglie alluvionate toscane se fosse stata portata loro una bella bacinella per buttare fuori l'acqua di casa!?Certo ad Haiti si può fare, tanto non capiscono niente!
E' solo una paura, ma il dubbio di trasformare un'azione umanitaria in un obiettivo politico non svanisce.... La solidarietà ha tante facce, non tutte sono utili, non tutte sono sincere!

mercoledì 20 gennaio 2010

MaiDireFine... alla TV





Salve a tutti,
lo staff di MaiDireFine è lieto di presentare il video che è stato pensato,sceneggiato e montato per tutti i nostri lettori e per chi presto lo diventerà. Un video molto breve ma incisivo, che presenta l'obiettivo di questo blog, da cogliere tra le immagini simpatiche che vi proponiamo. Speriamo che sia di vostro gradimento, che vi faccia sorridere ma soprattutto che vi coinvolga. Abbiamo bisogno di tutti per arrivare con la nostra informazione verso chi ancora non conosce questo nostro piccolo angolo di riflessione. La parola d'ordine resta sempre la stessa "Coinvolgere e diffondere".

Lo Staff MDF

martedì 19 gennaio 2010

Post.it: orientarsi e' uno sport

Fra i numerosi sport minori troviamo l'Orienteering, si tratta di una gara nella quale ogni giocatore deve, con l'aiuto di una mappa, effettuare un percorso attraversando punti di controllo fissati (chiamati lanterne) visitandoli in un certo ordine, ma scegliendo il percorso che preferisce.
Nonostante i tentativi, l'orienteering non viene incluso fra i giochi olimpici. Questo principalmente a causa della posizione dei paesi scandinavi, luogo di maggior diffusione di questo sport, che temono la commercializzazione dello sport e la perdita dello spirito originario del gioco.

lunedì 18 gennaio 2010

I minori scomparsi


Il fascino,la tenerezza e l'esigenza di proteggere l'infanzia è presente in ogni essere umano, a parte le varie degenerazioni esistenti.
Nell'arco della storia si sono sovrapposte credenze, luoghi comuni e modi di dire che hanno coinvolto i bambini, o meglio minorenni.
Basti pensare ai rapimenti alieni, ai comunisti che mangiano bambini, agli zingari che li nascondono per poi sfruttarli, al commercio abusivo di organi...
Alcune sono chiaramente leggende metropolitane, altre invece più verosimili, altre reali...nessuno lo può sapere con certezza.
Di sicuro si rabbrividisce davanti a qualsiasi atrocità rivolta verso un minore.
Visto che il nostro intento è quello di riflettere su dati oggettivi, una statistica su cui si può discutere è la percentuale di scomparse che avvengono in Italia ogni anno su bambini minorenni.
L'immagine (sopra) mostra una tabella grazie alla quale ci si può fare una prima idea.
Sul sito www.bambiniscomparsi.it si possono leggere delle considerazioni importanti, fondate e documentate del fenomeno: in breve i vari studiosi sono arrivati a delle conclusioni interessanti, mirate soprattutto ad abbattere le paure popolari.
La maggior parte di bambini scomparsi non viene rapita da Rom o organizzazioni criminali , ma si tratta di fughe volontarie da istituti, dalla propria dimora, oppure "sequestri" da parte di un genitore separato: gli allontanamenti volontari dall'abitazione familiare riguardano soprattutto bambini/adolescenti italiani o comunque appartenenti a famiglie stabilmente residenti in Italia, le "fughe" dalle comunita' invece caratterizzano, in particolar modo, i bambini delle famiglie nomadi che, non riuscendo ad adattarsi alla nuova vita comunitaria, scappano dall'istituto per tornare presso le famiglie di origine. Nei casi di bambini molto piccoli, sono addirittura le famiglie stesse che li "rapiscono" per riportarli al precedente stile di vita, ovvero all'attivita' di accattonaggio o al compimento di piccoli furti e borseggi.

"Ci sono delle rappresentazioni dell'immaginario collettivo che spesso non corrispondono neanche lontanamente alla realtà, non partono da osservazioni oggettive ma dal consolidarsi di uno stereotipo", dice a Reuters Carlo Melegari, sociologo direttore del Cestim.

Prendiamo per esempio la paura collettiva del rapimento di bambini dal popolo Rom. E' una paura mondiale e datata, con un proprio corso storico:
"Si tratta di una leggenda fortissima. Negli anni Settanta era ambientata in un mercato, con una zingara che nascondeva il bimbo sotto le gonne... negli anni Ottanta negli Usa si trasforma, sono immigrati, non zingari, forse portoricani, che fanno sparire bambini dai centri commerciali. Poi dal '93 la storia arriva in Italia: un bambino sottratto dal carrello del supermercato, magari ritrovato con i vestiti cambiati ed i capelli tagliati, irriconoscibile, già pronto per essere portato via...".

Sia chiaro, molto probabilmente non è una paura priva di fondamenta, basta solo ridimensionarla, con dei dati sotto mano. Sarebbe molto meglio soffermarsi sui veri motivi che portano dei bambini ad essere allontanati volontariamente o meno dalle proprie famiglie, un problema sociale che ha le sue radici, i suoi motivi e purtroppo le proprie conseguenze. Spesso il male è molto più vicino a noi di quanto pensiamo (presto tratteremo casi reali accaduti vicino a noi).

venerdì 15 gennaio 2010

Per i Sahrawi l'orizzonte è solo un muro



Nel novembre 2009, pochi mesi fa, sono stati festeggiati i vent'anni dalla caduta del muro di Berlino, che, come tutti sappiamo, oltre ad essere stato un limite fisico di divisione, era anche il simbolo per eccellenza di un mondo diviso tra due grandi ideologie. Ripensandoci ora, l'idea che un muro, un muro fisico di mattoni e cemento, potesse rendere inaccessibile una vasta area di una città, ci pare incredibile.

Oggi, questi muri, esistono ancora. Sono li, silenziosi, che dividono giganteschi territori e ridisegnano l'orizzonte. Spesso si parla del muro "palestinese", molto meno di quello che divide USA e Messico, ma sono sicuramente in pochi a conoscere quello Marocchino. Esatto, tra i tanti problemi d'africa, esiste anche quello del Sahara Occidentale, "nazione" confinante con il Marocco, deturpata da un muro costruito in pochi anni che gli impedisce di accedere alle importanti risorse di cui il paese disporrebbe.

Andiamo con ordine:
Nel 1974 la Spagna, 14 anni dopo la votazione dell'ONU, concede l'indipendenza al Sahara Occidentale. Esso è abitato dal popolo Sahrawi, che si organizza con un censimento per effettuare il referendum di indipendenza per il 1975. Il Sahara Occidentale è una regione piuttosto vasta, posta subito sotto il Marocco e famosa per la pesca proficua e i giganteschi giacimenti di fosfati, oltre che di petrolio.

Hassan II, re (dittatore) del Marocco però non accetta la situazione, e nel novembre '75 comincia l'invasione dei territori Sahrawi, che si concluderà con la "marcia verde" e il boicottaggio del referendum. La Spagna, che stava ritirando le sue truppe, da una parte continua a rivendicare l'autonomia dei territori Sahrawi, dall'altra firma un accordo segreto con Mauritania e Marocco per la spartizione dei territori. La Resistenza riesce comunque a dar vita alla RASD (Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi) che firma la pace con la Mauritania ma continua i combattimenti con il Marocco fino al 1991, anno del cessate il fuoco. La RASD è riconosciuta dalla lega africana, ma non dall'ONU, che dovrebbe organizzare il referendum per l'effettivo riconoscimento di indipendenza, ma che in realtà è 19 anni che temporeggia, lasciando di fatto una situazione di pericoloso stallo.

Il muro. Durante gli anni della guerra, precisamente dal 1982 al 1987, il Marocco ha costruito un gigantesco muro (a sei riprese) che divide i territori RASD in due: quelli di occupazione marocchina si trovano sul mare e possono ampiamente usufruire della pesca e delle miniere di fosfati, e quelli che teoricamente sarebbero i territori appartenenti ai Sahrawi, sono in realtà disabitati (quelli gialli nella cartina). Infatti attorno al muro è presente una quantità di mine calcolabile intorno ai 2 milioni, mentre per il resto è tutta sabbia. In Algeria sono posti campi nomadi dove effettivamente vivono i profughi della RASD.

Una situazione difficile, che alterna periodi di tranquillità ad altri di tensione, e che è seguita con forte interesse da varie Onlus presenti soprattutto in Italia e Spagna, oltre che dall'Algeria, suo principale alleato.

Ancora una volta l'ONU si dimostra incapace di gestire le situazioni per cui dovrebbe esser nata, e ancora una volta vediamo un muro, un muro di mattoni e cemento, dividere un' intera nazione.

Mirko


giovedì 14 gennaio 2010

Questo maledetto debito pubblico


(in figura: debito pubblico in percentuale al PIL)

Nella terra dei cachi il debito pubblico è uno spettro terrificante che perseguita le ultime generazioni.
Prima di cominciare tuttavia sono necessarie alcune definizioni, solo apparentemente note ai più. Per debito pubblico si intende il debito dello Stato nei confronti di altri , individui privati, imprese, banche o soggetti stranieri, che hanno sottoscritto obbligazioni (come BOT e CCT) destinate a coprire il fabbisogno finanziario statale.
Il Prodotto Interno Lordo (PIL) è il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un Paese in un certo intervallo di tempo (solitamente l'anno) e destinati ad usi finali (consumi finali, investimenti, esportazioni nette.
Il rapposto debito pubblico-PIL è fondamentale per capire la stabilità di uno stato. Chiunque deve fare un investimento, sia esso privato o pubblico deve caricarsi di un debito per iniziare la sua attività (sia essa l'acquisto della sede aziendale o la costruzione di un ponte). Nel caso del pubblico, se il PIL è maggiore del debito significa che lo stato guadagna più di quanto deve pagare, il suo investimento è quindi andato a buon fine e può risanare il suo debito. Nel caso contrario il suo investimento và male e il per coprire quindi il debito è costretto ad aprirne un altro in un meccanismo di feedback positivo. (più tu aumenti, più io aumento)

Nel 2008 il debito pubblico italiano ha toccato quota 1,658 miliardi di Euro, pari a 103,7% del Prodotto Interno Lordo (PIL). L’Italia si batte con l’Egitto per la sesta posizione per il più alto rapporto debito / PIL e fra le 50 economie più avanzate è seconda solo al Giappone, che vanta un rapporto debito / PIL del 177%.
Perchè un debito pubblico alto è così pericoloso?
Il primo dei problemi riguarda la difficoltà di finanziare il debito pubblico quando questo cresce troppo velocemente. Se cala la fiducia dei sottoscrittori dei titoli circa la capacità del debitore di pagare gli interessi e di restituire il capitale, lo stato è costretto ad aumentare i tassi per far tornare i risparmiatori da lui. Ovviamente tassi più alti, pur aumentando gli investimenti, se non supportati da altrettante intrate non fanno che aumentare sul lungo periodo il debito.
Il secondo problema è che lo stato toglie molti soldi al privato (alta tassazione) per riversarli nel pubblico, riducendo così le possibilità di crescita e quindi di aumento del PIL. Meno crescita, meno soldi, più debito.

È opinione comune che per ridurre il debito si debba alzare le tasse. Tuttavia esiste anche la svalutazione. Lo stato stampa più soldi, svalutandoli da una parte ma pagando i suoi debiti dall'altra.
Tuttavia questo non è possibile una volta entrati nel sistema economico europeo.
Negli anni ‘90 per esempio da un lato con un debito pubblico al 120 per cento del Pil dall'altro con la perdita continua di competitività con un Pil che cresceva sempre meno l’Italia era vicina alla crisi finanziaria. L’Italia fu dunque costretta a svalutare fino ad uscire dal Sistema monetario europeo nel Settembre del 1992.
In queste condizioni drammatiche, il Governo Amato ridusse il debito pubblico tendenziale di 90 mila miliardi di lire. Nel 1993 Ciampi continuo’ l’opera siglando un accordo di moderazione salariale. Con il Trattato di Maastricht del 1991, con Amato, Ciampi, Dini e Prodi l’Italia inizio’ il difficile cammino verso l’equilibrio del bilancio, con la prospettiva e il desiderio dell’ingresso nell’euro. Il rapporto tra deficit pubblico e Pil scese dal 10 al 3 per cento e la spesa pubblica al netto degli interessi scese dal 43 al 41 per cento del Pil.

Tuttavia per far diminuire il debito si può anche alzare il PIL. Come visto prima, un PIL più alto permette di avere più soldi con cui pagare i debiti. Questo metodo è rischioso perchè per alzare il PIL occorre spendere e quindi alzare il debito sul breve periodo e fare in modo che questi soldi ritornino sul lungo periodo. Indovinate come si chiamano questi soldi? Università, ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica...

Nel prossimo articolo andremo alla scoperta delle cause che hanno fatto dell'italia il terzo debito pubblico del mondo.

lunedì 11 gennaio 2010

L'incubo dei ghetti


Non è possibile parlare di immigrazione se non subentra la parola Integrazione.
Conoscerete tutti i fatti sconcertanti che stanno accadendo a Rosarno dove è in corso una lotta contro gli immigrati raccoglitori di arance, in cui vi partecipa la popolazione italiana locale, gli extracomunitari, la mafia, lo Stato e la Chiesa.
Ogni giorno si sentono dibattiti su chi può avere le ragioni migliori, su chi è più giustificato degli altri. Perchè però invece di giudicare, specialmente chi non vive tale realtà in prima persona, non si riflette sulle cause che hanno portato a tal punto e sui fatto oggettivi, concreti, sotto i nostri occhi?!
Oggi i giornali annunciano: "Svuotato il ghetto, immigrati in fuga"
Per esempio, vi rendete conto che nel 2010 si ripropone la parola "ghetto"?! Il brutto è che non si tratta di una bolla gonfiata dai giornalisti, si tratta proprio di un ghetto.
Chiaramente torna alla mente la metà del secolo scorso,la razza ariana, l'olocausto, ma con qualche differenza secondo il mio modo di vedere e di vivere, visto che anche intorno a noi sono presenti numerosi "ghetti" stranieri: pensiamo alle zone periferiche, alle stazioni ecc...
I ghetti hitleriani erano provocati dalla mente contorta di un dittatore, venivano innalzati volontariamente, erano espressione di terrore.
Oggi non è più così, ma si creano spontaneamente. Motivo? Di chi è la responsabilità?
Il mio pensiero è molto semplice e si basa appunto sul concetto di Integrazione. Razzismo e nazionalismo hanno un certo peso, ma non determinano il peso della bilancia.
Accoglienza e integrazione sono due entità legate ma non si tratta di sinonimi, anzi...
Quanti stranieri entrano ogni giorno in Italia, eppure riflettiamo sulla loro integrazione con piccoli esempi quotidiani: sui treni o sui pulman qunti immigrati hanno il biglietto? Sempre sui mezzi di trasporto, quante volte vedete italiani e extracomunitari seduti a fianco? Non si creano dei minighetti?!
Motivo? Penso abbiate presente l'odore delle persone di colore che salgono sui bus, penso sappiate bene i sacconi "spazzatura" che portano con sè sul seggiolino accanto.
E ancora, quante volte avete camminato in una zona abitativa popolare con la coda tra le gambe, passando per negozi immondi, urla o tafferugli in lingua aliena?! Ci vogliamo nascondere dietro a un dito?!
Ogni giorno sui giornali e sulle televisioni vediamo, anche nel nostro locale, accoltellamenti e risse nei "ghetti" con i sindaci che non sanno dove sbattere la testa....se poi succede la vicenda di Rosarno, sembra quasi la normalità...ma ci rendiamo conto che c'è un paese che si sta accanendo contro un ghetto?! Siamo consapevoli che tra Integrazione e ghetti popolari non c'è il mare, ma l'Oceano?!
Dopo i fatti oggettivi, passiamo ad analizzare le cause comuni:
  • Povertà: la maggior parte degli immigrati ha difficoltà a trovare un lavoro oppure viene sfruttata con salari giornalieri indegni.
  • Cultura: persone disperate, senza scuola, con una tradizione di sottomissione, si trovano in mezzo alla strada senza nemmeno sapere che per vivere si deve lavorare. Ricordiamoci che quando ci vengono a vendere sulle spiagge ci chiamano... "capo".
  • Condizioni sociali: la costrizione a vivere in baracche, in stanze di pochi metri quadri, nella sporcizia, non rende facile un processo di inserimento nella società.
Questa è una realtà oggettiva, che comporta la creazione di ghetti spontanei come una sorta di male comune, come una solidarietà tra persone diverse.
Immaginiamo invece una integrazione che consenta di vedere persone di colore o straniere dietro una scrivania, passeggiare per la strada in giacca e cravatta, essere dei corretti vicini di casa, entrare sui mezzi pubblici e timbrare il biglietto senza accomodarsi sui sedili posteriori ma accanto a noi stessi...Certe realtà non sono utopie: in molte città europee o americane si possono vedere alcuni esempi di vera integrazione.
Forse se i nostri figli nascessero in una società simile non conoscerebbero nemmeno l'esistenza della parola Razzismo o peggio ancora "ghetto".
Oggi invece siamo ancora qui a chiederci se l'italiano è razzista o meno, senza analizzare i veri motivi che portano alla repulsione della diversità.
Per concludere, vorrei fare un apprezzamento sull'idea del ministro Gelmini di regolarizzare la percentuale di stranieri (nati fuori dall'Italia o che non conoscono l'italiano) nelle classi delle nostre scuole. Rimandando la questione a un prossimo post, vorrei solo sottolineare che un processo di integrazione non scende dal cielo, ma va aiutato e gestito nel miglior modo possibile per chi deve accogliere ma soprattutto per chi deve essere accolto in una nuova cultura.

sabato 9 gennaio 2010

Generazione terza età

Partiamo da qualche considerazione generale: la nostra epoca vive un forte contrasto generazionale, ben più profondo di quello – seppur presente – che poteva esserci nei secoli precedenti quando il mondo andava “più lentamente”. Se nel medioevo le tradizioni e i pregiudizi passavano senza problemi dagli anziani ai giovani, oggi non è più così.
Il ruolo degli anziani si è nettamente ridimensionato: da dispensatori di cultura (popolare) a baby sitter di nipotini a cui i genitori troppo occupati non hanno tempo da dedicare.
La maggior parte degli anziani in Italia è cresciuta in una società sostanzialmente chiusa, cattolica e molto più povera della nostra, un mondo “di superstizioni e antiche sentenze”, molto diverso dal nostro presente fatto di computer e consumismo. Con questo non voglio intendere che il presente sia libero da luoghi comuni, ma che, a differenza del passato, c'è una certa promozione, seppur incompleta, a evitarli.
Mio nonno ogni tanto mi ripete che nell'arco della sua vita ha visto una trasformazione straordinaria iniziata con una società agricola, passando per una industriale, e concludendosi nella attuale post industriale, senza usare questi termini, naturalmente.
Ma queste persone sono in grado di avere una visione d'insieme oggettiva della nostra realtà?
Più in pratica, un anziano è in grado di valutare l'esigenza della legislazione delle coppie di fatto, dell'eutanasia, della ricerca sulle cellule staminali?
Se venisse fatto un referendum in Italia quanto peso avrebbe il voto di questa generazione?
Bisogna ricordare che per l'ONU siamo il Paese più vecchio del mondo con una percentuale di popolazione anziana over 60 del 24,5%.
La maggior parte degli anziani ha uno scarso livello di istruzione, che li rende più vulnerabili all'azione dei potenti mass media dei nostri giorni. Basta guardarsi un po' intorno per notare quale fascino abbia il televisore per questa generazione, ben maggiore rispetto a quello che ha sui giovani, i quali, infatti, vertono maggiormente su internet.
Ovviamente i pensionati sono anche le vittime preferite dei truffatori, i quali, sfruttando la loro ingenuità o ignoranza, riescono a raggirarli più facilmente. Tant'è che esistono spot antitruffa diretti esplicitamente verso gli anziani.
Anche la politica in Italia è vecchia: l'età media dei parlamentari italiani è di "soli" 54 anni. E' ragionevole supporre che questo fatto contribuisca a spiegare le deficienze legislative dell'Italia su alcuni diritti civili rispetto agli altri paesi occidentali.
Forse gli anziani tendono a promuovere una politica moderata perché tutto sommato non si riconoscono nella società moderna, guardano con nostalgia a molti valori del passato. D'altro canto adesso vivono una ricchezza notevole se confrontata con la povertà della loro infanzia.
Il loro ruolo nella società è ancora importante, non solo per la brutale percentuale di elettorato che rappresentano, quanto per il loro aiuto alle famiglie giovani, dove generalmente lavorano entrambi i partner, e nella loro tendenza alla moderazione e alla limitazione dello spreco, una qualità che si perde nella nostra società di “usa e getta”.

giovedì 7 gennaio 2010

La nuova libertà secondo Fini


“Cari ragazzi e care ragazze nate nell'89” così inizia Gianfranco Fini nel suo ultimo libro "Il futuro della libertà", Rizzoli Editore, rivolgendosi a quella che chiama generazione F, generazione futuro, ovvero la prima generazione a esser nata con il mondo non più attraversato da barriere idelogiche, con l'ultimo muro ormai caduto. Una generazione che nasce nel segno della libertà, libertà di spostarsi da un luogo all'altro del mondo, libertà di esprimersi ma soprattutto completa libertà di autodeterminarsi. Il messaggio di Fini è chiaro, dovete giocare bene questa vostra carta e cercare di impostare la vita non alla ricerca di qualche garanzia fissa e stabile né di un edonismo facile proprio di chi non vuol crescere, ma all'insegna di una “società del rischio”, mirando ad “essere uomini liberi che accettano di migliorare la propria vita, consapevoli che senza rischio non vi sarebbe sfida e quindi crescita, progresso.”
Fini parte da una lunga introduzione di carettere storico-politico, in cui vengono presentati i 40 anni precedenti al fatidico '89 con le due caratterizzazione più accese delle società mondiali: i totalitarismi e l'era della guerra fredda. L'analisi è molto interessante e l'obiettivo è quello di mostrare come in quegli anni spesso alla società del rischio si era preferito la “società della paura” ovvero una “società rattrappita su se stessa dove gli uomini si battono per mantenere solo quello che hanno, che vedono la novità come una minaccia e qualsiasi straniero come un nemico e invasore.” La contrapposizione tra le due tipologie di società in italia si fa sentire soprattutto nel dopoguerra. Se negli anni '49 – '63 l'Italia sceglie la ricerca della libertà istituzionale, della democrazia, della libera crescita, finita l'era del “boom” la società si ripiega su se stessa e preferisce spendere oggi senza pensare al domani generando quel “debito generazionale” che la generazione '89 è costretta a portarsi sulle spalle.
Ecco quindi quali sono le nuove esigenze: un nuovo “patto generazionale” e un nuovo “patto di cittadinanza”
Nel nuovo patto generazionale i giovani dovranno impegnarsi a cambiare la cultura dominante. Dovranno affermare l'idea della propria libertà assumendosene gli oneri. Dovranno rinunciare al “narcisimo” e chiedere “più a se stessi che alla vita”. Le garanzie saranno minori di quelle dei padri sia nel lavoro sia da parte dello stato ma questo non dovrà essere una fonte di lamento, piuttosto dovrà esser visto come una opportunità sempre nuova di scegliere il proprio destino. Lo stato d'altro canto dovrà prendersi carico di meno cose ma svilupparle per bene. A minori garanzie dovrà far corrispondere maggiori opportunità: ad esempio il Welfare dovrà essere incentrato sulla flessibilità, staccandosi dal “Welfare inclusivo che discrimina i precari rispetto ai garantiti” convertendosi così in un sistema “più moderno che tuteli il lavoratore in tutte le sue fasi della vita professionale”. Lo stato in pratica dovrà fornire gli strumenti per realizzare la libertà e i ragazzi dovranno pensare da soli a costruirsela.

Il nuovo patto di cittadinanza dovrà riportare lo stato ai cittadini e vicecersa. “I cambiamenti dovranno essere governati, anticipati e indirizzati su binari di crescita uniforme o viceversa tutto continuerà ad avvenire all'insegna di una modernizzazione spontanea, contraddittoria e un po' caotica del passato” ovvero lo stato dovrà rendere coesa la realtà italiana che continua ed essere frammentata e che insegue un idela di miglioramente non tanto per la “comunità” ma soprattutto per il “particolare” (famiglia, coprporazioni...). Per far questo la politica dovrà “guardare ad un orizzonte più ampio di quello dell'agenda quotidiana” e essere quindi leadership (che guida) e non followship (che asseconda). Servirà una nuova stagione costituente ma questa non dovrà essere una riforma a “colpi di maggioranza” perchè sarebbe così fragile e diminuirebbe ulteriormente l'identificazione dei cittadini nella Carta Costituzionale, la base del sentimento nazionale.

“I grandi maestri della libertà ci avvertono che dobbiamo semre confrontarci con la realtà e che quindi, immaginando qualsiasi progetto dobbiamo tener conto dei possibili ostacoli che potrebbero venire dalla fragilità, dall'irrazionalità, dagli egoismi e contraddizioni dell'uomo. [..]La consapevolezza delle difficoltà e dei rischi non deve però farci dimenticare che stiamo vivendo un'epoca di grandi opportunità e possibilità. Siamo in cammino verso una nuova civiltà delle libertà[..] è un grande privilegio esser nati sotto la stella della libertà ma allo stesso modo, un grande impegno.”

Il pensiero dunque di un politico di destra rivolto alla “nuova speranza per l'italia”, non populista ma tutt'altro, un po' retorico ma comunque supportato da una profonda cultura della sociologia così come della società reale.

lunedì 4 gennaio 2010

Armatevi e partite


Si ritorna dalle vacanze...cos'è successo in questo periodo? E' giusto chiederselo in quanto di solito, quando non si lavora o si studia si tende a staccare la spina totalmente, potrebbe cadere il mondo...
Vorrei soffermarmi su un fatto che non è accaduto recentemente, ma più di un secolo fa: l'incontro tra Garibaldi e il re Vittorio Emanuele. Perchè? Mi ha incuriosito la diatriba che è stata portata in tv in questi giorni tra i due comuni di Teano e Vairano su chi ospita tutt'oggi il luogo di questo celebre incontro. L'incontro infatti è passato alla storia come "incontro di Teano" e in passato si era tradizionalmente ritenuto che fosse avvenuto presso il ponte di Cajanello, odierno ponte San Nicola, nella frazione di Borgonuovo (Teano). La precisa località in cui l'incontro è avvenuto è tuttavia tuttora oggetto di dibattito (vedi sindaco di Vairano, frazione adiacente).
Non ho la sicurezza, ma durante il servizio televisivo ai due sindaci mi viene il dubbio che una grande fetta del popolo italiano abbia pensato: "se Garibaldi fosse rimasto a casa..."!?
Perchè questo dubbio? Perchè non dobbiamo nascondere il fatto che siamo un paese che non sente quasi per niente la propria unità. Siamo una Nazione che non ha lottato per una certa indipendenza, il popolo non è insorto contro l'oppressore, contro principi di libertà, civiltà e cittadinanza. Questa è la nostra storia. Basta guardare la storia americana o francese, per considerare i paesi più famosi che tutti hanno studiato a scuola, ma ci sono anche Paesi piccolissimi che lottano tutt'oggi per la propria indipendenza. L'Italia NO! E non è colpa di nessuno, è solo che la storia caratterizza il suo popolo. L'altra sera a Zelig, un comico napoletano ha detto:"Quando Garibaldi salì dal sud disse ai contadini meridionali che stava unendo l'Italia. I contadini gli risposero che andava bene, bastava che faticasse da solo..."
Giusto per ridere un po', ma alla fine non ci dobbiamo meravigliare se nel 2010 ormai iniziato il divario tra nord e sud è, non accentuato, ma abissale. Prendiamo i libri di storia in mano e guardiamo quante volte è stata affrontata la "Questione Meridionale"?! Le difficoltà sono oggettive: mafia, mentalità, storia... ma secondo il mio modesto parere c'è anche una causa motivazionale. Conviene? E' fattibile? E' desiderio di tutti? E' come se l'Italia fosse sempre composta da una moltitudine di civiltà, politicamente unite, ma che non hanno ancora fatto il loro percorso storico di unione. Esagerato? Può darsi, l'importante è non sottovalutare il problema perchè ancora oggi i giovani meridionali vengono a studiare da Roma in poi, perchè le vittime per mafia non sono tutte conosciute al Nord, perchè di buone intenzioni ce ne sono tante ma di fatti concreti se ne vedono ben pochi da parte di politici a cui forse fa comodo un luogo dove poter mascherare tutti gli atti incostituzionali che vengono compiuti nella parte "civilizzata" italiana, tanto civile ed elevata culturalmente da donare alle ultime elezione il 10% dei voti (pochi?!) alla LegaNord...un caso?!
Saremmo un Paese ricco, bello e con una "personalità" riconosciuta in tutto il mondo...purtroppo però tendiamo a "staccare la spina" e restare a guardare...come se Garibaldi avesse detto:"Armatevi e partite!"...