
“Cari ragazzi e care ragazze nate nell'89” così inizia Gianfranco Fini nel suo ultimo libro "Il futuro della libertà", Rizzoli Editore, rivolgendosi a quella che chiama generazione F, generazione futuro, ovvero la prima generazione a esser nata con il mondo non più attraversato da barriere idelogiche, con l'ultimo muro ormai caduto. Una generazione che nasce nel segno della libertà, libertà di spostarsi da un luogo all'altro del mondo, libertà di esprimersi ma soprattutto completa libertà di autodeterminarsi. Il messaggio di Fini è chiaro, dovete giocare bene questa vostra carta e cercare di impostare la vita non alla ricerca di qualche garanzia fissa e stabile né di un edonismo facile proprio di chi non vuol crescere, ma all'insegna di una “società del rischio”, mirando ad “essere uomini liberi che accettano di migliorare la propria vita, consapevoli che senza rischio non vi sarebbe sfida e quindi crescita, progresso.”
Fini parte da una lunga introduzione di carettere storico-politico, in cui vengono presentati i 40 anni precedenti al fatidico '89 con le due caratterizzazione più accese delle società mondiali: i totalitarismi e l'era della guerra fredda. L'analisi è molto interessante e l'obiettivo è quello di mostrare come in quegli anni spesso alla società del rischio si era preferito la “società della paura” ovvero una “società rattrappita su se stessa dove gli uomini si battono per mantenere solo quello che hanno, che vedono la novità come una minaccia e qualsiasi straniero come un nemico e invasore.” La contrapposizione tra le due tipologie di società in italia si fa sentire soprattutto nel dopoguerra. Se negli anni '49 – '63 l'Italia sceglie la ricerca della libertà istituzionale, della democrazia, della libera crescita, finita l'era del “boom” la società si ripiega su se stessa e preferisce spendere oggi senza pensare al domani generando quel “debito generazionale” che la generazione '89 è costretta a portarsi sulle spalle.
Ecco quindi quali sono le nuove esigenze: un nuovo “patto generazionale” e un nuovo “patto di cittadinanza”
Nel nuovo patto generazionale i giovani dovranno impegnarsi a cambiare la cultura dominante. Dovranno affermare l'idea della propria libertà assumendosene gli oneri. Dovranno rinunciare al “narcisimo” e chiedere “più a se stessi che alla vita”. Le garanzie saranno minori di quelle dei padri sia nel lavoro sia da parte dello stato ma questo non dovrà essere una fonte di lamento, piuttosto dovrà esser visto come una opportunità sempre nuova di scegliere il proprio destino. Lo stato d'altro canto dovrà prendersi carico di meno cose ma svilupparle per bene. A minori garanzie dovrà far corrispondere maggiori opportunità: ad esempio il Welfare dovrà essere incentrato sulla flessibilità, staccandosi dal “Welfare inclusivo che discrimina i precari rispetto ai garantiti” convertendosi così in un sistema “più moderno che tuteli il lavoratore in tutte le sue fasi della vita professionale”. Lo stato in pratica dovrà fornire gli strumenti per realizzare la libertà e i ragazzi dovranno pensare da soli a costruirsela.
Il nuovo patto di cittadinanza dovrà riportare lo stato ai cittadini e vicecersa. “I cambiamenti dovranno essere governati, anticipati e indirizzati su binari di crescita uniforme o viceversa tutto continuerà ad avvenire all'insegna di una modernizzazione spontanea, contraddittoria e un po' caotica del passato” ovvero lo stato dovrà rendere coesa la realtà italiana che continua ed essere frammentata e che insegue un idela di miglioramente non tanto per la “comunità” ma soprattutto per il “particolare” (famiglia, coprporazioni...). Per far questo la politica dovrà “guardare ad un orizzonte più ampio di quello dell'agenda quotidiana” e essere quindi leadership (che guida) e non followship (che asseconda). Servirà una nuova stagione costituente ma questa non dovrà essere una riforma a “colpi di maggioranza” perchè sarebbe così fragile e diminuirebbe ulteriormente l'identificazione dei cittadini nella Carta Costituzionale, la base del sentimento nazionale.
“I grandi maestri della libertà ci avvertono che dobbiamo semre confrontarci con la realtà e che quindi, immaginando qualsiasi progetto dobbiamo tener conto dei possibili ostacoli che potrebbero venire dalla fragilità, dall'irrazionalità, dagli egoismi e contraddizioni dell'uomo. [..]La consapevolezza delle difficoltà e dei rischi non deve però farci dimenticare che stiamo vivendo un'epoca di grandi opportunità e possibilità. Siamo in cammino verso una nuova civiltà delle libertà[..] è un grande privilegio esser nati sotto la stella della libertà ma allo stesso modo, un grande impegno.”
Il pensiero dunque di un politico di destra rivolto alla “nuova speranza per l'italia”, non populista ma tutt'altro, un po' retorico ma comunque supportato da una profonda cultura della sociologia così come della società reale.
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